Il caso Majo contro Sony Playstation riporta a galla l’argomento discriminazione di genere, torna a far parlare di sè, almeno sulle testate internazionali.
Nel Novembre 2021, Emma Majo , IT Security analyst, decide di intentare causa al suo ormai EX datore di lavoro, accusando l’azienda di discriminazione di genere e di ingiusto licenziamento.
L’ex datore di lavoro è la Sony; Majo infatti ha svolto il ruolo di IT Security Analyst per Playstation.
Secondo quanto riportato dai legali della Majo , nell’azienda esisterebbe un sistema consolidato tendente a “privilegiare” gli impiegati uomini nel raggiungimento di posizioni di Leadership, in violazione delle leggi statunitensi sulla parità di salario (che sono parte fondamentale della controversia fra lo stato della California ed Activision Blizzard n.d.r.)
In sostanza, come leggiamo nelle dichiarazioni presentate al tribunale, gli impiegati Maschi sarebbero “favoriti” nel far carriera rispetto alle loro colleghe “donne o che si identificano col genere femminile, sia in termini di retribuzione che di promozioni, alimentando una cultura del lavoro prevalentemente maschile”
Sony dal canto suo respinge ogni accusa, chiedendo attraverso i suoi legali il non luogo a procedere. Nelle dichiarazioni dell’azienda si specifica anche che il licenziamento della Majo è conseguenza della chiusura di un intero dipartimento, in contrasto con le dichiarazioni della querelante stessa che sostiene di non aver mai lavorato in quel determinato dipartimento.
Non ci stupisce che in un primo momento la notizia non abbia avuto rilievo sulle testate giornalistiche europee, feudo della narrativa aziendale “cristallina” di Sony Playstation, soprattutto perchè trattavasi di dichiarazioni di una singola dipendente.
La Discriminazione di Genere un problema non solo di Playstation
La notizia non poteva rivaleggiare con l’interesse suscitato dal caso Activision Blizzard, molto più polarizzante nell’opinione pubblica.
Notizie come la causa intentata dalla Majo oppure delle presunte accuse di pedofilia ai danni del dipendente PlayStation Cacioppo (prontamente licenziato dopo la plateale denuncia di un canale YouTube a caccia di predatori sessuali) non sono state prese in considerazione dalle riviste europee per un costante ed adeguato approfondimento, considerando forse il rischio di far adombrare alcune scelte d’immagine di PlayStation, come il pugno di ferro con cui censura determinati contenuti sessuali su titoli presenti sul Playstation Store, oppure la stupenda campagna di sostegno alle donne che ha accompagnato il lancio dell’ultima esclusiva PlayStation Horizon Forbidden West.
Alla luce di queste presunte accuse, si sarebbe potuto percepire queste massicce campagne come tentativi di “ripulire” l’immagine aziendale, rischiando di bruciare gli ingenti fondi di marketing investiti.
A riportare l’attenzione dei siti di news sul il caso Majo è stato lo spettro di una class action, già richiesta al tribunale ed in attesa di approvazione.
Va sottolineato che la “minaccia di class action” è una pratica molto diffusa negli stati uniti, e che spesso è solo una strategia per forzare a patteggiamenti più “sostanziosi”.
Questa volta però pare che si possa andare ben oltre la semplice “pressione”. Dopo la denuncia di Emma Majo altre 8 impiegate ed ex impiegate di playstation si sono fatte avanti confermandone le accuse, aggiungendo alla discriminazione sistematica, anche casi di molestie ed attenzioni inappropriate.
Una di queste, Mary Harrington che ha lavorato per 16 anni per Sony online Enterteinement, riporta ad esempio il caso di una lista di candidati per una promozione a ruolo senior, dove erano presenti solo 4 donne rispetto a ben 70 candidati maschi.
Secondo le dichiarazioni di Kara Johnson, ex program manager di playstation “l’azienda non avrebbe gli strumenti per fare fronte ad un ambiente lavorativo tossico”, sottolineando inoltre come, nei 4 mesi successivi al suo abbandono dell’azienda, altre 10 donne abbiano fatto altrettanto.
Il Gender Gap discriminazione di genere nell’ industria videoludica
Da quanto emerso dalle dichiarazioni delle querelanti, sembra che PlayStation, il cui CEO Jim Ryan aveva condannato duramente in pubblico le pratiche di cui viene accusata Activision Blizzard, non sia attualmente in grado di elevare i propri standard al di sopra di quelli di molte altre aziende considerate dall’opinione pubblica delle vere e proprie “confraternite maschili”.
Visto l’impegno con cui PlayStation condanna pubblicamente determinate pratiche, ci risulta difficile metterla sullo stesso piano di aziende come Activision o Ubisoft, anche se considerando tutte le notizie passate in sordina negli anni, come ad esempio denunce di comportamenti tossici e misogini in studi come naughty Dog o gli ex first party Quantic dreams, non fatichiamo a immaginare che una tale cultura tossica sia endemica nell’industria del videogioco.
Noi ci auguriamo che si possa far luce sulla verità dei fatti, ma soprattutto che il coraggio di denunciare possa avviare un cambiamento virtuoso all’interno di un’industria che vorremmo essere specchio di tutto ciò che di buono c’è sulla terra.
Piuttosto che vedere grandi aziende lavarsi la coscienza con qualche spicciolo, preferiremmo che non ci fosse nessuna macchia da lavare.
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