Perché i Souls di FromSoftware piacciono nonostante facciano oggettivamente schifo

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“I Souls della casa di Shibuya, hanno successo a causa di cattiva UX o controlli orribili”, questo è quanto affermano alcuni videogiocatori, sviluppatori e critici (come il sottoscritto) ed hanno ragione, almeno in parte, sebbene stiano semplificando di molto la questione.

L’articolo di oggi vuole tentare di spiegare la ragione per la quale Elden Ring e le precedenti produzioni sviluppate da FromSoftware piacciono ai videogiocatori, anche a quelli più spietati e critici come il sottoscritto, partendo da una domanda: nonostante siano videogiochi vecchi di circa 20 anni, nonostante ignorino l’evoluzione e non siano per nulla innovativi, come mai piacciono tanto?

Ha riportato la difficoltà alla normalità

Dark Souls, uscito nel 2011, ma non ha rivoluzionato il concetto di difficoltà all’interno del medium, sfidando i giocatori con un gameplay esigente ma gratificante, che richiedeva abilità, strategia e pazienza.

Essenzialmente non ha fatto altro che riportare la sfida ad un livello normale, come ai tempi delle sale giochi. Dobbiamo ricordare che il 2011, ma ingenerale i videogiochi della 7ª generazione, erano impossibili da non finire a causa della loro immensa facilità, tra questi spiccavano senz’altro Splinter Cell: Convintion, il reboot di Prince of Persia, Uncharted e molti altri.
A differenza di molti, in Dark Souls era tutto “predefinito”, nulla si adattava al giocatore ed alle sue azioni. Il giocatore veniva posto dinanzi a difficoltà sempre più elevate, così da soddisfare il proprio desiderio di sfida che ormai stava scomparendo, ponendo al centro le sue l’abilità e pazienza.

Nonostante una tiepida partenza iniziale, Dark Souls è riuscito diventare un fenomeno culturale attirando l’attenzione ed il rispetto di molti, anche da chi non lo ha mai giocato, al punto tale che molte altre produzioni successive hanno ripreso il suo stile di design e la sua filosofia. Dark Souls alla fin fine si è guadagnato di diritto un posto nella Hall of Fame dei videogiochi più importanti di sempre.

O livelli il personaggio oppure compri

La vera innovazione che nel 2011 mi aveva colpito (sfortunatamente Demon’s Souls l’ho saltato) fu che per la prima volta non abbiamo moneta e punti esperienza separati, rendendo il gameplay più tattico e stratificato.

Uno dei problemi dei GDR, sia occidentali che orientali, è sempre stato che prima o poi, ad un certo punto, si “rompono”. Ti ritrovi con troppi punti esperienza, rendendo verso la fine il personaggio overpower, oppure ti ritrovi con così tanti soldi, che comprare pozioni di mana o salute, e qualsiasi altra amenità, non dà più quell’ansia da uso parsimonioso dei consumabili.

Nel bene o nel male con qualsiasi esponente del genere finisce sempre così, mentre nei SoulsBorne devi sempre fare un uso controllato dei consumabili perché non è detto che potrai ricomprarli. Il fatto di perdere le anime ti fa ben ponderare sul come affrontare gli scontri anche a causa del limite delle pozioni per recuperare la salute.
Se non fosse per i gravi problemi tecnici dei prodotti FromSoftware, dal punto di vista concettuale del design di gioco abbiamo un paradigma del dungeon crawler GDR, innovando il genere, rendendo divertente e stratificando davvero la formula che ha creato un genere.
Sogno un giorno in cui questo genere avrà un altro nome, sostituendo “soulslike”.

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Elden Ring e Dark Souls, perché piacciono?

Nella maggior parte delle storie raccontate nei GDR, il mondo ha bisogno di un eroe, qualcuno che vada là fuori e salvi la principessa, sconfigga il cattivo, riporti la felicità o la luce. Sai bene, come giocatore, che il gioco non terminerà col tuo fallimento, con la vittoria del cattivo.

Nei Soulsborne, tuttavia, non sei l’eroe e il mondo non sempre può essere salvato. Uno dei temi principali di questi giochi è che il mondo è a tutti gli effetti rotto e delle volte lo è irrimediabilmente. Chiunque avrebbe potuto porre rimedio è morto o si è corrotto. Mentre il male ha vinto da tempo, gli esseri che hanno portato a ciò non sono altro che gusci senza altro scopo. 
Nella migliore delle ipotesi, tutto ciò che puoi fare è riavviare il ciclo per l’inevitabile prossimo collasso del mondo secoli dopo.

C’è questa cupa realizzazione che si instaura mentre vaghi nei Dark Souls, che molto tempo fa è avvenuto qualcosa di impattante, causando la morte del intero mondo. Elden Ring riprende questo concetto, ma lo rielabora in uno spazio molto più ampio. Le città sono state abbandonate o distrutte da tempo, nessuno è veramente interessato a salvare la situazione. A te viene data la libertà di esplorare, a piedi o in sella a Torrente, questa ambientazione che ha un ruolo cruciale nel gioco: spesso e volentieri lo scenario, non sta semplicemente lì, ma vuole raccontarti un qualcosa.
Essenzialmente, FromSoftware, fin dai King’s Field è sempre stata una software house che ha tratto ispirazione dai GDR occidentali, quali The Elder Scrolls, ma espandendo quel concetto di narrazione ambientale (conosciuta come lore) portata avanti da anni soprattutto da Bethesda, facendolo proprio e rendendolo il fulcro della narrativa dietro le proprie produzioni.

Libertà di esplorazione e di giocare come si preferisce nel “parco giochi”

FromSoftware è diventato un maestro nel togliersi di mezzo al giocatore, lasciando che egli assorba ciò che gli sta accadendo attorno. L’adagio “less is more” può essere applicato qui e si trova in netto contrasto con altri giochi open world. Vi dirò, nel mio immaginario ho sempre visto anche i Dark Souls come titoli open world, seppur tecnicamente non lo sono, mentre Elden Ring fa trovare quella vera dimensione alle loro produzioni, a dispetto di quei titoli “sperimentali” che furono Demon’s souls e i tre Dark Souls.
In pratica Elden Ring è di gran lunga il più grande e vasto spazio di gioco che FromSoftware abbia realizzato fino ad oggi, pur fornendo il loro consueto e distintivo design.

A differenza di altri recenti giochi open world, ci sono molti meno contenuti dispersivi da fare, ma la qualità di ogni punto di interesse è molto più elevata. Il mondo gioco presenta delle macro-aree che richiamano le precedenti produzioni dello studio, diversificandosi profondamente tra loro avrai: rovine, villaggi, le immancabili paludi, castelli e perfino una scuola di magia. Inoltre sono presenti anche dei dungeon dove raccogliere risorse, che si dividono tra miniere e tombe.
Questo miscela di contenuti ti porterà a desiderare di esplorare il mondo di gioco in lungo ed in largo, se noti qualcosa di insolito in lontananza, è probabile che ci sarà un evento unico ad attenderti.

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Ci sono persone che affermano “Elden Ring è la prova che le persone non vogliono una buona UI/UX” (UI, interfaccia utente; UX, esperienza utente), ma non comprendono quanto un buon ritmo possa farla da padrone.

Apprendimento organico

L’apprendimento organico è una meccanica di design che dal 2010 in poi è andata lentamente scomparendo dai videogiochi, con l’intento di renderli più divertenti e il meno frustranti possibili.
Io che adoro perdermi nei GDR, sono stato uno dei grandi detrattori all’epoca di cavolate come Fable 2 o The Elder Scrolls V: Skyrim, che ti indicavano la direzione da seguire per le missioni, così da non smarrire la direzione giusta.

Per distinguere al meglio la formula applicata in Elden Ring dagli altri giochi open world, puoi guardare le differenze tra le loro “aperture”. Nei giochi open world, generalmente, vieni accompagnato da una sequenza di tutorial obbligatoria con diverse scritte e popup costanti sulle determinate azioni da compiere o l’utilità di un determinato oggetto, con un’eccitazione ad alto numero di ottani. 
Mentre in Elden Ring puoi letteralmente saltare l’intero tutorial, a volte per errore, presentando volutamente un’apertura molto semplificata.

Ti viene dato il tempo di concentrarti sul gioco senza che questo cerchi di impedirti di farlo. Se vogliamo essere generosi, l’unica vera interazione forzata di cui hai bisogno all’inizio è ottenere Torrente, e questo può richiedere circa 10 minuti, se non ti affretti.

Di tutti i precedenti soulslike, Elden Ring è il più giusto in termini di fornitura di opzioni e percorsi. Se vuoi correre attraverso il castello e battere Godrick all’inizio, puoi farlo; se vuoi trascorrere 6 o più ore esplorando il mondo intorno al castello, per ottenere nuovi incantesimi o aumentare determinati parametri, puoi farlo.
Tutto ciò che FromSoftware ha realizzato nei precedenti Souls, vale anche qui: l’aumentare i parametri del tuo personaggio, assieme al livello delle armi, può consentirti di arrecare più danno al boss; anche l’equipaggiamento funziona allo stesso modo, quindi dovrai tenere a mente il peso e le diverse abilità e specialità che ogni armatura e suo componente hanno da offrirti.

C’è sempre un Piano B, nonostante hai fatto casino

Le aree sono spesso separate in base alla trama, le missioni hanno una rigorosa linearità su ciò che devi fare per poterle portare a termine e il livello del personaggio può essere un’importante barriera per fare qualcosa. Con l’eccezione dell’area felice conosciuta come Caelid, dove la forza e le sfide del nemico sono mantenute costanti.

Quello che spesso è il punto frustrante nei giochi precedenti è il progresso lineare. Se il giocatore rimane bloccato su X, non c’è altra strada da percorrere o progressi da fare altrove. Questo è spesso il motivo per cui la curva di abilità nei titoli Soulsborne è così alta all’inizio: se il giocatore riesce a padroneggiare l’inizio, allora non ci saranno sfide molto più alte.

Elden Ring

Con Elden Ring, i boss e i nemici generali, sono più duri rispetto i giochi precedenti. 
Ci sono più nemici, hanno schemi di combo più avanzati e sono su tutta la linea più pericolosi. Detto questo, perché non ci sono più persone che si lamentano della maggiore difficoltà? Il motivo è che, con l’eccezione delle sfide di fine partita e delle aree finali, il giocatore per la maggior parte dell’inizio e della metà del gioco non è obbligato ad andare da qualche parte per fare progressi. Nella mia prima giocata, ci sono volute circa 6 ore e mezza di esplorazione e ricerca di oggetti prima di battere Margit. Sul mio secondo personaggio, l’ho fatto in un’ora e mezza.

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La natura libera si applica anche alle tue tattiche di combattimento. Puoi usare incantesimi, evocare NPC, scegliere la tua evocazione di cenere, creare ed usare oggetti artigianali oppure raccoglierli senza doverli creare mai (come me) e così via. È molto facile valutare se hai qualche possibilità in una situazione e il giocatore è libero di decidere fino a che punto vuole provare a colpire.

La bellezza dell’open world di Elden Ring e della percezione di mondo aperto interconnesso in Dark Souls

Dal punto di vista del mondo aperto, il gioco fa un ottimo lavoro nel delineare questo mondo da esplorare invitando il giocatore ad andare fin dove vuole. Invece del consueto gioco X che dice al giocatore di eseguire determinate azioni od fare determinate cose, Elden Ring consente loro di creare il proprio percorso attraverso di esso. 
Il giocatore è colui che crea la mappa mentale delle regole e delle scoperte. Sono proprio curioso di vedere dove si sono stabilizzati i tassi di abbandono del gioco.

Troppi giochi open world si concentrano sul gameplay macro, mentre Elden Ring costruisce il suo mondo aperto partendo dal suo gameplay, momento per momento. Per molti giochi open world, il “mondo” stesso sembra secondario rispetto alle sfide e ai cerchi che i progettisti vogliono che il giocatore salti. Qui sembra un mondo che esiste da tempo e tutte le esplorazioni e le sfide sono organiche all’ambientazione stessa. Il giocatore non sa dove sta andando o cosa troverà, ma sa che dovrà affrontare una sfida, qualunque cosa accada.

Dark Souls 3

Si avvicina al concetto di GDR e percezione del mondo di gioco che avevo giocando 20 anni fa a titoli come TES III: Morrowind, Fable, Deus EX, Shenmue, Baldur’s Gate, Fallout 1 e 2 o Red dead Redemption. Dove l’approcciarmi al mondo di gioco apriva scenari e sotto-storie totalmente diverse.

Bello come Morrowind, Gothic o Elex, ma più immediato per i neofiti del genere GDR.

I videogiochi che spesso osannano come capolavori GDR, mai più eguagliati quali Deus EX, Morrowind, Fable, Suikoden 2, Shenmue (so che non è un GDR, ma passatemelo per il concetto di ruolo di manipolazione dell’avventura), hanno un problema creato nell’ambiente videoludico moderno che noi critici ed esperti di sviluppo di videogioco facciamo finta di non vedere, come un elefante in una stanza. Dopo anni di Ludopanettoni, dove il videogioco ti dice cosa fare e come farlo, relegando ad un ruolo passivo il videogiocare nei confronti del approccio al videogioco, il gamer moderno odia il realismo, odia impegnarsi a leggere e interagire con l’ambiente di gioco per ragionare su cosa fare e dove andare per seguire la storia, in pratica è abituato alla pappa pronta.

La formula Soulslike è stato un compromesso, tra quello a cui sono abituati i gamer da Ludopanettoni e noi veri videogiocatori veraci che vogliamo la sfida e abbiamo bisogno di una progressione del divertimento basato su mastering delle skill con il prosieguo dell’avventura, non sapremo mai se il successo e le scelte di design dietro Demon’s Souls siano state casuali o volute da Miyazaki (lui può raccontare tutte le fregnacce che vuole, la verità la sa solo lui o chi ci ha lavorato), perché ricordiamo che il game design, come in tante arti, non sono scienze esatte, ma abbiamo solo linee guide per un buon risultato, basato su esperienze precedenti di successo. Però ha creato una formula che sta nel mezzo tra le due tipologie di videogiocatori: il videogiocatore come il sottoscritto lo giocherà guardando e ammirando come si guarda un incidente stradale, ma rimanendo folgorato volendo saperne di più; mentre il giocatore da ludopanettone lo vedrà come una cosa mai vista prima d’ora, tipo un ufo avveniristico venuto sulla terra.

Minecraft gioco della generazione

Fatto sta che, schifo o no, i Soulslike di FromSoftware sanno divertire, appena compreso cosa stia accadendo dinanzi ai tuoi occhi, tra grafica da voltastomaco, assets riciclati e framerate imbarazzante.

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GIuseppe Zetta

Il mio pseudonimo è Giuseppe Zetta aka Zell Ho la passione per l’informatica, nata all’età di 6 anni, quando ho avuto a che fare per la prima volta con un Commodore64, appassionato di Intelligenza Artificiale, Sviluppo di Videogiochi e Tecnologie OpenSource. Porto avanti progetti informatici personali con i miei amici di vecchia data, ed ho svariate passioni che variano dall’arte del DJ al video editing passando fino alla produzione musicale.

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