Prey è la perfetta definizione di Immersive Sim

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Negli ultimi anni si è vista la nascita e la diffusione dell’espressione “immersive sim”, nuova categoria atta a racchiudere una certa tipologia di videogioco in un nuovo genere. Tale processo non è stato però indolore: non essendo essa una definizione chiara e specifica, molti utenti hanno rigettato questo neologismo, ritenendo che fosse troppo impreciso per usarlo come nuova definizione di un intero genere videoludico. Nella mia esperienza, dopo aver giocato a Prey, il titolo del 2017 sviluppato da quei geni di Arkane Studios, posso dirmi abbastanza certo della seguente affermazione: se ancora non avete capito che cosa voglia dire precisamente “immersive sim”, giocando a Prey lo capirete.

Avvertimento: nel tentativo di risultare il più chiaro possibile in questa mia spiegazione, porterò esempi presi direttamente dal gioco, perciò saranno presenti spoiler minori.

Interazione e gameplay emergente

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Basta partire dall’introduzione per capirlo, da quando il giocatore esce dalla propria stanza e scopre di aver vissuto fino a quel momento in una simulazione: uno dei punti forti di Prey è l’interazione. A partire dalla tecnologia Looking Glass (tributo allo storico studio) che permette di proiettare su uno schermo una falsa realtà, fino ad arrivare al cannone GLOO che dà la possibilità di crearsi il proprio percorso attraverso le varie zone, in Prey sono presenti una grande quantità di interazioni tra giocatore e gioco, e ciò offre quindi la possibilità di affrontare determinate situazioni in tanti modi diversi.

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In pratica, detto in altri termini, come già succedeva con Thief e System Shock (dal quale Prey è molto ispirato), il gioco offre situazioni di gameplay emergente.

Che cosa vuol dire “gameplay emergente”? È quel fenomeno che si verifica quando, dato al giocatore un obbiettivo, è concessa ampia o totale libertà d’approccio per conseguire tale obbiettivo, anche in modi eventualmente non previsti dallo sviluppatore. Se, per esempio, il protagonista deve superare un nemico a guardia di una porta, la scelta su come superarla spetta solo e soltanto al giocatore: può usare le sue abilità di parkour per scavalcarla, può cercare cunicoli nascosti che gli permettono di passare oltre, può distrarre la guardia, può affrontarla direttamente o in maniera stealth… Tutte queste possibilità magari limitate dalle abilità del personaggio e dal suo inventario.

Missione salvataggio: Danielle Sho

Per continuare con gli esempi, in Prey, progredendo nella storia, ci si ritrova ad un certo punto a dover entrare negli archivi di Talos I, la stazione spaziale in cui è ambientato il gioco. La porta è però sigillata da una password e un sistema di riconoscimento vocale e l’unico modo per passare è trovare Danielle Sho, l’unico dipendente con i permessi per aprirla. Si presenta però un altro problema, ovvero che il sistema di tracciamento dei dipendenti non riesce a individuare dove si trova Danielle Sho in quel momento. Ci viene quindi offerta una soluzione: andando negli alloggi degli equipaggi dobbiamo cercare la password e alcuni suoi campioni vocali (ovvero delle sue registrazioni), per poi permettere a un programma di imitare credibilmente la sua voce. I campioni vocali ovviamente ci sono e si possono trovare; se però si esplora per bene la mappa, ci si può imbattere in un’altra registrazione, fatta da un altro dipendente, che spiega che Danielle Sho si era rifugiata fuori dalla stazione e che aspettava un segnale dalle finestre della piscina per uscire allo scoperto. A questo punto, abbiamo una scelta: continuiamo a cercare i singoli campioni vocali o ci dirigiamo verso la piscina (che, manco a dirlo, brulica di nemici) per accertarci che Sho sia viva e che ci dia lei stessa una mano. Questa scelta però si è presentata solo dopo che abbiamo casualmente trovato una registrazione specifica esplorando la mappa, se non lo avessimo fatto non avremmo saputo niente di tutto ciò.

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Scelte e conseguenze

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Gli immersive sim non si limitano però soltanto al gameplay emergente. Come banalmente suggerisce il loro nome, essi devono essere appunto immersivi, e per far immergere il giocatore all’interno del tuo mondo, per fare in modo che sia credibile, esso ha bisogno che, ad ogni sua azione, corrisponda una conseguenza. Non si tratta solo della possibilità che le altre guardie si allarmino se non nascondi il cadavere di un nemico appena ucciso, e neanche della scelta di dialogo che conduce a due soluzioni opposte: si tratta di qualcosa che va molto più nel dettaglio, e che, nel caso di Prey, converge nei molteplici possibili finali del gioco. Incontri una zona piena di materiale utile, ma l’unico modo per accederci è sollevando una cassa? Se hai preso l’abilità giusta per sollevarla allora puoi farlo, sennò ti tocca lasciar stare. Hai intenzione di sviluppare abilità aliene perché molto forti e utili? Va bene, ma se ne impari troppe le torrette alleate ti vedranno come un alieno e cominceranno a spararti. Anche la scelta di svolgere o no le missioni secondarie ha delle ripercussioni sulla trama. Tutte le decisioni che prendi, che siano legate alla trama o più direttamente al gioco, hanno delle conseguenze che possono essere positive o negative.

In tutto ciò sta, a mio avviso, la genialità dei videogiochi immersive sim, in particolar modo di Prey. Dato al giocatore un enorme ventaglio di possibilità, cercare di prevederle tutte in modo da ricompensarlo o punirlo a seconda di dove lo si vuole far arrivare.

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